mercoledì 13 novembre 2013

Questo matrimonio non s'ha da fare.

-Per ridere dei toscani e in toscano.
-Per il fine benefico dello spettacolo.
-Per la bellezza del teatro in vernacolo.

Il teatro in vernacolo fiorentino è un genere teatrale tuttora vivo e con una sua dignità drammaturgica. Esistono tante piccole compagnie formate da attori professionisti e semplici amatori che, in teatri piccoli e grandi, a volte in circoli e sale parrocchiali, recitano la commedia toscana con l'unico scopo di divertire e divertirsi.



A Prato, una di queste compagnie, i Gatti Bigi, hanno recitato al Teatro Kolosseum di San Giusto, "Questo matrimonio non s'ha da fare": spettacolo di Dory Cei con l'adattamento di Piera Pugliese. I preparativi per le nozze in casa Fortunato diventono una complicata commedia di equivoci e complicazioni. Il sogno della sposa, Albarosa, fatto la notte prima delle nozze, diventa infatti un presagio nefasto a cui seguono una serie di imprevisti degni di una tragedia... greca? No, fiorentina, ovviamente!


Lo spettacolo ha il grande pregio di essere divertente senza mai scadere in volgarità e cercare la facile battuta offensiva, il tutto in una coralità e diversità di personaggi notevole. Dalla classica litigata tra il marito e la petulante moglie, all'intellettuale parruchiere che cita le "Idi di Marzo" di Giulio Cesere, alla irremovibile "fimmina" siciliana, fino alla cameriera con la battuta sempre pronta.


Le risate del pubblico sono copiose e, al divertimento viene legato l'impegno degli attori. L'incasso delle quattro serate sono state devolute in beneficenza alla Fratres di Agliana e all'associazione per i ragazzi dislessici AID di Prato e lo spettacolo avrà una replica il 7 dicembre, fuori dalla Toscana, a Vasto, questa volta in favore del Progetto "RicorDonatella" per la pet-therapy nelle scuole di Vasto.


MG
(fonte foto Pagina Facebook Gatti Bigi )

sabato 14 settembre 2013

Officina Pratese: Da Donatello a Lippi.

-Per vedere Palazzo Pretorio ristrutturato;
-Per conoscere il Rinascimento Pratese;
-Perchè non solo d'industria può vivere una città;



Riapre dopo quindici (troppi) anni il palazzo più centrale e in vista di tutta Prato, Palazzo Pretorio in Piazza del Comune. Riapre con una mostra, che senza esagerare, è la più bella che sia mai fatta nella piccola provincia toscana.

I presupposti c'erano tutti. Mesi fa quando sono apparsi i primi cartelloni pubblicitari e il sito internet, avevano una grafica pulita e ben curata, opera dello studio grafico Rovaiweber Design. Poi è seguita una prima apertura del museo per ospitare le statue di Jacques Lipchitz (una è attualmente fuori del museo), ed è stata una gustosa anticipazione delle stanze restaurate del palazzo.


La fila per entrare la prima sera è la testimonianza che la città è curiosa e attende eventi di cultura come questo. Il palazzo è formidabile: Se da fuori e nelle mura è rimasto il duro palazzo duecentesco, all'interno oltre agli affreschi restaurati (superbo quello all'entrata raffigurante Dagomari, Santo Stefano, San Giovanni e Datini), gli spazi espositivi, le scale, donano un'immagine del museo moderna ma essenziale, semplice e di ampio respiro. In questo modo, le opere esposte hanno lo spazio necessario per essere ammirate con una luce giusta, nella loro bellezza. Anche i quadri e le pale più grosse non sono soffocate, come troppo spesso succede anche in importanti e blasonati musei.

L'organizzazione della mostra e la scelta delle opere sono impeccabili. Si inizia con Donatello, famoso in città per aver realizzato (insieme a Michelozzo) il pulpito del Duomo. Per arrivare all'appassionante storia di Filippo Lippi, un frate che mentre lavorava a Prato su la tavola della "Madonna della Cintola",  s'innamora della sua modella, la monaca pratese Lucrezia Buti e  la rapisce durante la processione della Sacra Cintola. A loro discolpa va detto che furono entrambi vittime di monacazione forzate.
L'esposizione continua con stupendi quadri di pittori considerati minori come Zanobi Strozzi e Fra Diamante, il principale collaboratore di Filippo Lippi. Proprio da Fra Diamante prima e da Botticelli poi, cresce artisticamente Filippino Lippi, figlio di Filippo, a cui è dedicata la parte finale della mostra con, tra le altre opere, la Madonna esposta nel tabernacolo in Piazza Mercatale, andato distrutto durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale e restaurato da un pratese di Vainella - Figline, Leonetto Tintori.


Come detto sopra, il maggior pregio della mostra (che Sgarbi ha definito "una delle più belle mostre viste negli ultimi anni" ) oltre a quello dell'esposizione con luci e sfondi adatti, è la scelta delle opere prese in prestito da collezioni private di tutto il mondo. Dalla "Natività con San Girolamo, Santa Maria Maddalena e Sant'Eustachio" di Paolo Uccello conservate a Karlsruhe, alla "Madonna col Bambino" di Filippo Lippi al National Gallery of Art di Washington, alle pale e formelle divise e per rara occasione ricostruite: una per tutte la Pala di Faltugnano del Maestro della Natività di Castello, divisa tra Londra e Philadelphia.



Una passeggiata emozionante tra statue di Della Robbia e di Matteo Civitali, tra enormi candelabri del Duomo di Prato e del Duomo di Pistoia di Maso Di Bartolomeo. Una visita obbligatoria per i pratesi che devono riscoprire con orgoglio la cultura della propria città e di chi deve conoscere Prato come non solo la città dei cinesi e sorella povera di Firenze.

MG.

mercoledì 14 agosto 2013

"Non vendere te stesso. Tu sei tutto ciò che hai!" J.J.


- Nuovo gruppo toscano da ascoltare
- una serata tranquilla al fresco
- un posto nuovo da conoscere


Giovedì 8 agosto 2013 al 'Santomato Summer Live' si sono esibiti per la prima volta i Joplin 4 Janis,  una nuova band del panorama musicale toscano; l'omaggio ad una grande artista statunitense che ha lasciato il mondo della musica a soli 27 anni, costruendo nella sua breve vita spezzata dalla droga, un repertorio musicale che spazia dal blues, al soul al rock.

Janis Joplin, una vita travagliata, in conflitto con famiglia e società e in una continua ricerca della perfezione musicale, condivise apertamente l'ideale del movimento Hippy divenendo quasi un simbolo votato alla difesa per l'uguaglianza tra bianchi e neri ed esercitando, con la sua musica, la libertà di espressione.

I J 4 J, un puzzle di musicisti toscani incastrati alla perfezione, hanno mostrato la voglia di far sentire al pubblico non solo il loro talento ma anche la forza e il coraggio dell'artista.
Partiamo dalle chitarre elettriche con Francesco Moruzzi per passare al basso elettrico di Stefano Girone e alla batteria con Luca Solini per concludere con voce e perno del gruppo, Valeria Neri che abbiamo conosciuto quest'inverno a Officina Giovani, durante la rassegna dedicata alle artiste decedute prematuramente "Voci interrotte", proprio nell'interpretazione della Joplin.


Joplin 4 Janis _ ph. Marco Giani


Joplin 4 Janis _ ph. Marco Giani


La voce graffiante di Valeria/Janis ha dato un brivido a chi l'ha già sentita in passato ma soprattutto a chi l'ha ascoltata per la prima volta durante questa serata; la sua forza ci ha travolto e coinvolto ancora una volta nella vita di questa favolosa cantante degli anni '70 mostrandocene, attraverso il suo repertorio, le debolezze, la rabbia e la voglia di lottare per ciò in cui credeva, senza rese e compromessi.

Joplin 4 Janis


Un gruppo grintoso e pieno di risorse, in questo caso create apposta per rivivere i momenti vissuti da janis, come per esempio per citarne uno,  l'uso della macchina da scrivere che si sente in sottofondo come durante la registrazione del bootleg "The typewriter tape", una raccolta di sette tracce tra le quali troviamo "Trouble in mind". 

Affiatati, ben scelti e in sintonia, i nostri musicisti danno l'impressione di voler portare avanti questo nuovo progetto/sogno facendo loro il motto "Get it while you can".


Di seguito i pezzi che abbiamo ascoltato:

woman is loosers
one good man
turtle blues
to love somebody
cry babe
trouble in mind
piece of my heart
get it while you can
one night stand
me & bobbie mc gee
kozmic blues
down on me
mercedes benz
try (just a little bit harder)
ball & chain
buried alive in the blues
maybe
a woman left lonley
move over

marel

domenica 4 agosto 2013

Se la parte mi funziona@Villa Fiorelli

Il Gaber di Neri Marcore, il Gaber di Andrea Scanzi, il Gaber del Festival teatro canzone Giorgio Gaber della sua fondazione e altri mille Gaber. Insomma non è facile creare uno spettacolo su Giorgio Gaber ed essere originali.

Eppure Gaber in trent'anni di spettacoli teatrali diversi, più di trenta dischi e innumerevoli antologie ha lasciato in eridità al suo paese un repertorio vastissimo e mai banale. In questo repertorio si calano il Gruppo Teatrale Delle Rose e Delle Ortiche e l'associazione Kultroses 659, guidata dalla regia di Veronica Natali, tralasciando o magari solo "citando" velocemente i pezzi strafamosi come "La libertà" o "Qualcuno era comunista" o "Torpedo Blu" (vengo a prenderti stasera...) per cercare pezzi e canzone, forse meno conosciute come "L'odore" o "La strana famiglia" o il naufragio del "Sogno in due tempi".


La chiave di lettura di tutto lo spettacolo della Natali e la sua compagnia di attori è trasformare il monologo del Signor G, suddividendolo in cinque anime, cinque Signor G differenti. Cinque attori che modificano il monologo facendolo diventare un dialogo. Dopo tutto quando pensiamo in un nostro personale monologo interiore, non possiamo dire che stiamo dialogando con le varie anime di noi stessi?

La vita dei Signor G, la psicologia, l'essere attore nella vita (come il pezzo che dà il titolo allo spettacolo "Il comportamento"), l'amore sono i principi cardini dello spettacolo. E poi la televisione. Che Gaber non amava ed evitava e che spesso velamente criticava nei suoi testi.



Uno spettacolo forse non adatto alle arene estive, che ha bisogno invece della magia e del mistero del buio del teatro. Speriamo, quest'inverno di vederlo in location più suggestive, perchè la compagnia lo merita.

MG.

venerdì 14 giugno 2013

Parliamo di musica di Stefano Bollani.


-Perchè in Italia non si parla molto spesso di musica;
-Per la fantastica storia del Jazz;
-Per come scorre il libro;

Stefano Bollani è un "guascone" del pianoforte. Ironico e pungente, tecnico e appassionato, quando suona sembra una carambola di sponde di biliardo sonore che ti butta giù il castello di birilli che ti eri costruito. Eppure, al contrario di tanti "intellettuali" non è mai volgare, mai sopra le righe, mai offensivo
con nessuno. Spavaldo come un musicista della sua caratura può essere, ma mai arrogante.

Il suo libro rispetta pienamente il suo carattere. "Parliamo di musica" inizia con delle spiegazioni tecniche sulla musica e i suoi "elementi", dalla tonalità al tempo e da come i compositori e i musicisti usano le scale maggiori e minori per creare melodie nostalgiche o impetuose. I capitoli non seguono una linea logica, sono come pagine di un diario di pensieri liberi, si passa dal jazz (nata come una musica libera e di sfida e diventata una musica "chiusa" e ristretta a circoli esclusivi), a anedotti di viaggi come quello nelle favelas di Rio de Jainero.

Nella sua carriera ha suonato con Irene Grandi, Jovanotti e Raf, ma anche con i maestri del Jazz italiano come Enrico Rava e Paolo Fresu, con musicisti internazionali come Richard Galliano e Chick Corea, ma nel libro non c'è un'esaltazione egocentrica di questi nomi, al massimo parole di elogio per questi artisti (e tanti altri molto meno noti).

La grande capacità di Bollani scrittore è di spiegare come la musica non sia quel mondo esclusivo, dove se non conosci riesci a posizionare le note su un pentagramma, non puoi capire la musica. La musica è fatta di passioni, di sentimenti e sensazione che suscita, di stati d'animo, di persone e sfide. La musica parla in modo diretto anche se non la conosci, magari se hai gli strumenti riesci ad capire meglio cosa stai ascoltando.
Bollani riesce a spiegarti Antônio Carlos Jobim parlando di Chopin, ma anche di Gino Paoli, decostruendo i "trucchi" nascosti in una melodia, nel timbro vocale di una canzone e dei costrutti musicali eloborati che vi sono dietro.

Sono due le domande che pone Bollani alla fine e all'inizio del libro: si può imparare ad ascoltare la musica? E ad imparare la musica?

E la risposta-accusa dell'autore è: "Ti insegnano a disegnare e non a cantare, ti insegnano a leggere e a capire le arti figurative ma non ad ascoltare la musica, ti insegnano a godere della poesia e non al suono di un clarinetto, ti insegnano la storia della cultura del tuo e di altti paesi e non ti parlano mai dell'apporto dato dai musicisti. Giuro che non capisco perchè. Non c'è governo che tenga, la musica e la sua storia non interessa a nessuno dei nostri politici.".

MG.

giovedì 6 giugno 2013

Tutti pazzi per Rose di Régis Roinsard.

-Per rivivere gli anni '50 delle riviste di moda della nonna;
-Per la colonna sonora non banale;
-Per la bravura (e la bellezza) della protagonista Déborah François;



Partiamo subito dal tallone di Achille del film: la trama. Fine anni '50 la giovane Rose Pamphyle (Déborah François) scappa dal suo piccolo paese della Normandia per andare a fare un colloquio come segretaria per l'ufficio di assicurazione del carismatico Louis Echard (Romain Duris). Naturalmente viene assunta ma, la nostra candida giovane francese imbranata, ha un talento innato: la dattilografia! Così rispettando il luogo comune della segretaria bravissima a scrivere a macchina come massima aspirazione della vita della donna degli anni cinquanta, il bel francese tutto d'un pezzo la vuole allenare per i tornei regionali di velocità di battitura a macchina. Tra mille peripezie sentimentali e psicologiche (lui tormentato dal suo passato burrascoso, lei algida e insicura di se stessa, le varie famiglie ecc...), il resto della trama ed è ESATTAMENTE quello che state pensando.



Quindi? Il film è da buttare? Tutt'altro. Il film si salva egreggiamente grazie a tutto quello che sta attorno alla trama, per fortuna! A partire dalle scenografie, alla cura dei dettagli dal design alla grafica delle macchine da scrivere e dei colori usati per imparare a dattilografare. Se il sempre francese "The Artist" l'anno scorso ha ricostruito con cura maniacale le ambientazioni del cinema muto, questa pellicola ricrea le atmosfere dei film di Marilyn e Audrey Hepburn (a cui la protagonista si ispira come look e tipologia di bellezza). 


 La colonna sonora sempre azzeccata e quel pizzico di nonsense (come la scena della tempesta di fogli da macchina da scrivere) forse, se fosse stato usato con meno parsimonia, avrebbe reso la pellicola meno scontata.

Il film è debitore alla bravura dell'attrice Rose/Déborah forse di più di quanto fosse "Il famoso mondo di Ameliè Poulain" a Audrey Tautou.



PS: ma chi diavolo decide di tradurre il titolo originale del film "Populaire" (il nome della macchina da scrivere usata in gara), in uno scontato "Tutti pazzi per Rose"?

MG.

domenica 26 maggio 2013

Arjun Appadurai a Dialoghi sull'uomo - Pistoia.

-Per ascoltare opinioni fuori dal banale pensiero comune;
-Per allargare i propri confini culturali;
-Il centro di Pistoia è bello, anche con la pioggia.

Dialoghi sull'uomo è un festival che si svolge a Pistoia giunto alla quarta edizione. Scrittori, sociologi, filosofi, cantanti, antropologi... o molto più semplicemente pensatori sono invitati a tenere una conferenza-lezione su un tema. Il tema di quest'anno è stato il viaggio.

Arjun Appadurai è un antropologo di origine indiana che insegna alla Columbia University, che affronta il sistema della complessità della globalizzazione. Accompagnato dalla traduttrice Marina Astrologo, il professore Appadurai delinea a grandi linee il fenomeno dei flussi di spostamento. Spostamento delle persone, che vuol dire emigrazione e scambi culturali, sfide per la nostra complessa modernità. Spostamento delle merci, sempre più veloci e sempre più globale, grazie ai mezzi di transporto. E infine lo spostamento delle idee, trasportate dai mezzi di comunicazioni di massa, dalla televisione a internet. Il tutto analizzato dall'occhio dell'esperto antropologo indiano che non sempre usa termini semplici o diretti per spiegare teorie che forse meriterebbero maggior approfondimento o maggior esempi chiarificatori.



Il ruolo istituzionale delle nazioni viene per esempio sorpassato spesso dal potere delle corporation e lo spostamento delle idee avviene sempre più velocemente rispetto a quello delle istituzioni culturali, come le università ad esempio.

Con questa velocità e con questo "mixture" di culture, merci e idee fanno si che "locale" e "globale" sono concetti nella nostra modernità descritta da Habermas, che si confrontano, scontrano e mischiano, inevitabilmente.


Intervista esclusiva dal sito del festival di Marco Aime e Adriano Favole ad Arjun Appadurai.

Rimangono delle domande che avrei voluto porre al professor Appadurai, specie sulla sua affascinante affermazione riguardo i termini "nazione" e "romanzo" quando ha detto: "vi sono nazioni senza romanzi e romanzi senza nazione".

Forse l'impossibilità di porre domande da parte del pubblico è l'unica vera pecca di un festival ben fatto, in una piccola città toscana che personalmente non smette mai di stupirmi.

MG.

domenica 19 maggio 2013

Burrasca

- per tornare bambini
- per ridere digusto
- per giocare

Ogni tanto è bello ritornare bambini.
Ogni tanto è bello rivivere gli eventi che, in qualche modo, hai vissuto da piccolo vedendoli, adesso, con gli occhi di un adulto e riderne di una risata sincera e genuina.



Ispirato al personaggio di Gian Burrasca, bambino discolo e dispettoso, Guido Nardin, con la regia di Luca Regina, porta sul palcoscenico di Officina Giovani "Burrasca", un Ugo Sanchez Jr. a scuola.

La buona regia mostra lo studio attento che c'è dietro a questo spettacolo, curato nei minimi particolari e visto con gli occhi di un bambino riguardo tutto quello che è la regola: non ci sono regole! Devi stare composto? Devi stare fermo? Devi stare in silenzio? Devi fare il bravo? Nessuna regola rispettata in quel tempo che Burrasca si ritaglia nell'attesa dell'arrivo della maestra; quel tempo è tempo per il gioco e non va perso.

foto di Cristiano Luca Martini

Bello il coinvolgimento del pubblico, quei grandi e piccini che rappresentano un po' i suoi compagni di classe. Con loro gioca e loro, forse all'inizio un po' freddi o spiazzati, riescono ad entrare nei personaggi rendendo gioco tutto lo spettacolo e regalando calorosi e meritati applausi al piccolo Burrasca.

foto di Cristiano Luca Martini

foto di Cristiano Luca Martini

L'accompagnamento musicale dal vivo di Giovanni Favuzza è un ottimo supporto per lo spettacolo e si fonde perfettamente con esso creando un'atmosfera di presa in giro, di scherzo e di quella sensazione che fa in modo che tu ti chieda "chissà cosa combina adesso?", temendo qualcosa di simpaticamente pericoloso.

Anche questa volta, Ugo ci ha portati nel suo mondo mandandoci però a nanna con il sorriso e gli occhi pieni di curiosità, meraviglia e stupore che solo i bambini sanno avere.

marel

venerdì 17 maggio 2013

Il grande Gatsby

- ...era una dote straordinaria di speranza, una prontezza romantica 
  quale non ho mai trovato in altri, e quale probabilmente non troverò mai più
   
- Non c'è fuoco né gelo tale da sfidare ciò che un uomo può accumulare 
  nel proprio cuore
 
- Così rimiamo, barche controcorrente, risospinti senza sosta nel passato





Quando lo stravagante Buz Luhrmann decide di farci sognare non si limita.
Come era già accaduto per Romeo+Giulietta (1996) e Moulin Rouge! (2001), 
anche in questa pellicola, egli sfodera tutte le armi a disposizione per ricreare 
quegli scenari e atmosfere che ci fanno venire la voglia di essere li; questa volta 
tra gli sconosciuti invitati del Trimalcione di Francis Scott Fitzgerald; come sempre 
il risultato è un capolavoro.
Tra lustrini, feste sfrenate e fiumi d'alcol ci ritroviamo catapultati nella New York anni '20, quando il crollo della Borsa era ancora lontano.
Il discreto Nick Carraway, interpretato da Tobey Maguire, racconta in prima persona la storia del self-made-man dalle bellissime e fresche camicie Jay Gatsby, l'impeccabile Leonardo Di Caprio, eroe romantico moderno, che per amore della bella e superficiale Daisy, l'eterea Carey Mulligan, costruisce dal nulla un impero paragonabile al di lei marito, da sempre odiato.
Ancora una volta lo stile del regista australiano è incisivo: movimenti di macchina veloci e vertiginosi mettono in risalto splendide e ridondanti scenografie, che si aprono su molteplici scenari, mentre la fotografia sottolinea magistralmente luci e colori, rimanendo piacevolmente catturati dalla sfilata dei sontuosi abiti di scena, creati con ricercata eleganza dalla stessa costumista di Moulin Rouge!, Catherine Martin.



Nondimeno la colonna sonora contribuisce a questo caleidoscopico carnevale, 
grazie alla collaborazione con il produttore-rapper-imprenditore Jay-Z e il compositore scozzese, Craig Armstrong (responsabile anche di quel capolavoro che è la colonna sonora di Moulin Rouge!), riuscendo a far convivere hip pop, rock ed elettronica; che a quanto pare è piaciuta parecchio anche alla nipote ultraottantenne di Scott Fitzgerald.
Le scene finali si chiudono sotto una nevicata di bianche lettere che danzando compongono il passo finale del testo originale, mentre da lontano un lieve ticchettare di tasti di una macchina da scrivere ci accompagna verso i titoli di coda.
Poetico.
Ahimè, gli addetti ai lavori non hanno apprezzato il film, ma Luhrmann ha serenamente risposto che molti avevano storto il naso all'uscita del libro, ma ora è un grande classico.
Che dire? Ai posteri l'ardua sentenza.

Nesh


lunedì 6 maggio 2013

Se ti Abbraccio non avere paura


- per guardare il mondo con occhi nuovi
- per scoprire il coraggio di un padre
- per conoscere Andrea


Per certi viaggi non si parte mai quando si parte. Si parte prima.”




Franco Antonello potrebbe sembrare una rock star, ne ha l'aspetto, ma non lo è; non è nemmeno un supereroe, anche se si batte ogni giorno per creare un mondo all'altezza di Andrea; è semplicemente un papà, il papà di Andrea, bellissimo ragazzo di diciotto anni affetto da autismo.
Se ti abbraccio non avere paura è un diario di bordo scritto da Fulvio Ervas che narra l'incredibile avventura on the road di quest'insolita coppia di vagabondi capelloni, un viaggio che inizia da quando Andrea aveva poco più di due anni, quando il medico emanò il suo verdetto: autismo.
Contro ogni previsione e aspettativa, che vuole ogni autistico incapace di adattarsi ai cambiamenti, Franco testardo, intraprende quest'avventura con la speranza di cambiare qualcosa nella vita di Andrea, di migliorarla, ma l'esperienza sarà per lui un'occasione per imparare a percepire il mondo con gli occhi di suo figlio. 





Sfrecciando sull'Harley Davidson lungo praterie, deserti, città e mari, in un paesaggio sconfinato e in continuo cambiamento, Andrea ci trascina in punta di piedi, silenziosamente, nel suo labirinto, attraverso pensieri frammentati, segnandoci la strada con minuscoli pezzetti di carta e mappe fatte di crema di gelato colorato, trasmettendo emozioni semplici, fatte di abbracci e sorrisi bellissimi, riuscendo a farci emozionare in ogni istante, rimanendo sbalorditi e affascinati come bambini.

Nesh



Se ti abbraccio non avere paura, edito da Marcos Y Marcos, tradotto in 6 lingue, ha venduto oltre 300.000 copie. Con i proventi di questo libro, Andrea a Franco hanno regalato al loro amico Jorge e alla sua famiglia una casa in Costa Rica.
Per maggiori informazioni sulla fondazione:http://www.ibambinidellefate.it/

domenica 28 aprile 2013

Oblivion di Joseph Kosinski.

-Tom Cruise è come la pizza margherita, buona e sai sempre quello che hai ordinato. Morgan Freeman è qualcosa di più.
-La trama che stupisce.
-Tra sabbia, deserto, fiumi e macerie: la New York che non ti aspetti.


Nuovo film di fantascienza per il regista di Tron: Legacy (seguito di Tron del 1985), Joseph Kosinski, tratto da un suo racconto per una graphic novel mai realizzata. In un futuro la Terra è stata invasa da una razza aliena che ha distrutto la Luna e scatenato una guerra distruttrice. Il nostro pianeta è ridotto a un colabrodo ed è sepolto da sabbia e canyon, i mari vengono prosciugati da idrovore per l’energia elettrica mentre tutta la popolazione è trasferita su Titano. Eccezione fatta per Jack Harper (Tom Cruise) e la sua compagna Victoria che hanno il compito di far manutenzione ai droni attaccati dagli “alieni”.

 
Fin qui la prima parte del film, con una trama semplice che ricorda un po’ il robottino spazino di Wall-E (povero Cruise!) e  gli scenari post-apocalittici della saga del Pianeta delle Scimmie (compresa la fiamma della statua della libertà). Ma la trama naturalmente si complica e lo scenario si ribalta completamente.
 

Il film funziona, gli attori sono bravi Tom Cruise (che addirittura si sdoppia…), ma soprattutto Morgan Freeman. Le scenografie e i paesaggi sono tra le cose migliore della pellicola, tra la natura selvaggia dell’Islanda, dove è stato girato il film e quello che resta di una futuristica New York, compreso il grattacielo che prenderà il posto delle Torri Gemelle, non è un caso che il regista sia un laureato in Architettura.
MG.

mercoledì 3 aprile 2013

Voci Interrotte - tra talento e inquietudine


- Il piacere di una serata diversa nonostante la pioggia
- Ottima organizzazione dell'evento
- Buona Musica


Questo scritto non vuole essere una recensione ma più un sincero complimento a chi si è impegnato nell'organizzazione e nella "costruzione" di tre serate che hanno intrattenuto un pubblico pratese accorso con entusiasmo nonostante le condizioni climatiche spesso avverse.
Sotto la direzione artistica di Francesca D’Ugo, affiancata dall’associazione Ipazia e, in collaborazione col Comune di Prato e la Scuola di Musica “G. Verdi”, l’evento “Voci Interrotte - tra talento e inquietudine” si è potuto svolgere negli spazi di Officina Giovani in tre Lunedì successivi di Marzo.
L'evento è stato un percorso musicale, teatrale, fotografico e narrativo dedicato a tre figure femminili che hanno lasciato un segno nel mondo della musica: Billie Holiday, Janis Joplin ed Amy Winehouse. Tre vite difficili, tre vite ribelli segnate da droga, alcool e relazioni burrascose, tre donne di tre epoche diverse, dal primo dopoguerra fino agli anni più recenti, tre donne che iniziano la carriera di interpreti molto giovani e che, purtroppo, altrettanto giovani la interrompono.




La prima serata (lunedì 11 marzo) è stata dedicata a Billie Holiday, Signora del Jazz e del blues degli anni 30-40; un trascorso adolescenziale molto travagliato tra prostituzione e violenze fino ai 15 anni, poi la svolta: il canto. Sul palcoscenico diventava Lady Day e aveva come segno distintivo una gardenia bianca. E’ stata una delle prime cantanti nere a emergere in un’America segnata dalla segregazione razziale. La sua voce calda e avvolgente e, alla fine della sua carriera anche malinconica, influenzò cantanti quali Janis Joplin (artista alla quale è dedicata la seconda serata) e la nostra Giorgia. La voce e l'interpretazione favolosa di Michela Lombardi (Michela Lombardi Quartet - http://www.michelalombardi.it)  ci ha lasciati a bocca aperta fin dalla prima nota; la sua intensa e delicata interpretazione ha espresso in pieno gli umori delle canzoni di Billie Holiday regalandoci sensazioni di piacevole nostalgia. Grazie ai piacevoli racconti di Stefano Zenni, uno tra i più grandi esperti di Jazz in Italia, è stato possibile contornare le suggestioni musicali con aneddoti e informazioni utili a comprendere la personalità della cantante di Filadelfia.




Il secondo appuntamento della rassegna, è stato dedicato a Janis Joplin, cantante americana di fine anni '60 inizi '70, un puro spirito ribelle in conflitto con tutti che condivise gli ideali del movimento hippy. Hippy è infatti la sua libertà di interpretare ed esprimere a trecentosessanta gradi la sua personalità nonostante le varie convenzioni sociali. Puro emblema di quegli anni in cui la contestazione era ormai sdoganata e urlata, anche attraverso una voce potente e graffiante, quasi fastidiosa. Valeria Neri & band tribute to Janis, con il loro talento, ci hanno fatto conoscere e rivivere questo meraviglioso personaggio con tanta grinta, passione e trasporto. Un'interpretazione carica di entusiasmo, amore per la musica e voglia di trasmettere al pubblico i sentimenti, la personalità e il conflitto interiore di questa cantante che, come Billie Holiday ha interrotto la sua carriera troppo presto. Janis Joplin perde la vita a 27 anni per overdose e viene inserita nel Club of 27 o maledizione del J27: un "club" dove vengono inseriti artisti deceduti a 27 anni per morti violente dovute, spesso, ad abusi quali droghe e alcool. Un'altra caratteristica del club è quella di avere personaggi i quali nomi o cognomi abbiano come iniziale una "J". (ne fanno parte Janis Joplin come Jimi Hendrix, Jim Morrison, Jean Michael Basquiat, Brian Jones, Amy Jade Winehouse e tanti altri).




Come Janis Joplin, anche Amy Jade Winehouse, viene inserita nel Club 27.
Deceduta giusto 2 anni fa, è a lei che viene dedicata la serata conclusiva dell’evento. Ed è proprio l’organizzatrice Francesca D’Ugo, accompagnata dalla Band Tribute to Amy, che ci stupisce interpretando magnificamente i brani di maggior successo e di maggior rilievo biografico dell’artista britannica. 
Amy Jade Winehouse, cantautrice londinese, comincia il suo percorso musicale nel 2003 per vincere nel 2007 con la canzone Back to Black ben 5 Grammy Awards. 
Come le due precedenti artiste, anche la sua vita è trascorsa in modo particolarmente irrequieto, Alcool, droga, problemi di anoressia ed inquietudini sentimentali l'hanno portata, purtroppo, ad un decesso prematuro.
La Winehouse è una delle esponenti della seconda generazione di cantanti del soul bianco. La sua voce e la sua musica raccontano in modo sincero e sarcastico le sue tristezze, i sui dispiaceri, le pene dell'amore e dell'amore come fonte di sofferenza.

Seguendo una tradizione non scritta dei Lunedì Jazz ad Officina Giovani, la buona musica e i grandi artisti tornano ad essere rievocati davanti al pubblico pratese, eterogeneo e sempre sorprendentemente presente. Francesca D'Ugo e le associazioni che hanno collaborato con lei hanno sicuramente trovato una formula interessante per narrare vicende biografiche altrimenti relegate al solo tributo musicale.


marel&AuLin

mercoledì 20 marzo 2013

Educazione Siberiana di Gabriele Salvatores.


-La bravura di Salvatores di dipingere continenti differenti;
-L'espressività di tutti i protagonisti;
-Del fascino del paradosso di valori/violenza;


Tratto dal magnifico primo libro di Nicolai Lilin, Educazione Siberiana narra la fine di un'epoca, quella degli "onesti criminali" (un ossimiro come dichiarano gli autori) siberiani costretti dai russi a una migrazione forzata in Transnistria. In questa comunità criminale due bambini, Nicolai "Kolima" e Gagarin crescono, imparando dal saggio "nonno" Kuzya (un magistrale John Malkovic) i valori della propria comunità. Dal sapere a chi si può rubare, al divieto di spacciare, al rispetto per i poveri, al forse senso religioso fortemente iconografico.



Nicolai e Gagarin crescono insieme ad altri due ragazzi Mel e Vitalic rubando e picchiando giovani di altri quartieri fino all'arrivo di una presenza femminile: la figlia del nuovo medico, Xenya. Questa rappresenta nel film la parte più delicata e sensibile della comunità siberiana. Xenya deve essere protetta perchè è diversa, è una voluta da Dio.


I due protagonisti (due bravi esordienti lituani, Arnas Fedaravicius e Vilius Tumalavicius) si dividono e si ritrovano tra il freddo della neve, il clima austero della prigione, continui flashback dalla Cecenia (presente nel secondo libro di Linin e non nel primo, almeno non come nel film), il significato dei tatuaggi (il tatuatore è come un confessore a cui raccontare la propria vita e sarà lui a trasformarla in simboli sul corpo del confesso), Educazione Siberiana è la storia di un'epica tragedia.


Proprio come la fine dei Samurai per il periodo medievale Edo del Giappone e il mondo di Corleone nella saga del Padrino (anche qui sono l'ingresso della droga e la bramosia per i soldi a corrompere i protagonisti), Educazione Siberiana racconta un mondo che non esiste più, seppellito da una nuova e viziata Russia occidentalizzata.



Dal 4 al 7 Aprile la versione teatrale di Educazione Siberiana sarà al Teatro Metastasio di Prato.

MG

lunedì 11 marzo 2013

Noi siamo Infinito


  • per fare un tuffo negli anni '80
  • per ascoltare una bella cassetta
  • per scoprire l'aspetto romantico e delicato della vita





“… we can beat them, just for one day 
we can be Heroes, just for one day...”


Sulle note di questo indimenticabile pezzo di David Bowie scorre tutta la pellicola del regista Stephen Chbosky, autore stesso del romanzo epistolare dal quale il film è tratto: “The perks of being a wallflower”, tradotto banalmente “Noi siamo infinito”.
Un film che parla di quegli amori che solo a sedici anni si possono vivere, scorrendo sulle note di brani registrati sulle musicassette, tra cui Dexys Midnight Runners, The Smiths e The Samples.







Charlie è uno studente del primo anno, senza amici, di una dolce timidezza che lo porta a starsene sempre in disparte, a fare da tappezzeria, fin quando non incontra Patrick e Sam, due fratellastri particolarmente estroversi che lo accolgono nella loro isola dei giocattoli difettosi. 

Strizzando l'occhio a “The Dreamers” e “Donnie Darko”, entriamo piano piano nel mondo estremamente fragile del protagonista.
Una storia fatta di sogni e di incubi, di paure insite nello svelare cio' che si è, che racconta di come gli anni dell'adolescenza siano i più crudi e i più indimenticabili della vita di uomo, perchè mai nulla sarà come quella notte in cui hai sfiorato le sue labbra e tutto sembrava così assolutamente perfetto e fugace, tanto da avere paura di riaprire gli occhi.
Un racconto di formazione, per tutti coloro che non hanno mai smesso di credere nei proprio sogni e di affrontare le proprie paure, riuscendo ad essere eroi anche solo per un giorno, spinti da quella forza che muove il mondo attorno a noi; lasciandoci inconsapevolmente trascinare nel suo vortice. Perchè l'amore sarà sempre l'unica cosa che ci salverà, non limitandoci ad accettare solo quello che, a torto, pensiamo di meritare, riuscendo a staccarci dalla parete alla quale siamo appoggiati.

Un film che fa sognare, riflettere e commuovere, attraverso gli occhi di questi tre studenti di Liceo, interpretati da tre attori emergenti: la giovane promessa del cinema inglese Emma Watson, accompagnata dal tenero e insicuro Logan Lerman e dall'affascinante Ezra Miller. 


Nesh